Festival dell'Economia 2012

FESTIVAL DELL'ECONOMIA 2012

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Gli interventi di Hans Peter Blossfeld e Serge Latouche: cos'è la globalizzazione e come affrontarla
di Cristiano Zanetti

Hans Peter Blossfeld: l’incertezza nella nostra vita, la certezza del saperci formare

Analisi, descrizione delle opportunità e prevenzione dei mali della globalizzazione

Hans Peter Blossfeld - foto Hugo MunozChe cos’è la globalizzazione? Ma soprattutto che impatto ha sulle nostre vite concretamente e sul lungo periodo e cioè oltre gli effetti economici immediati? Come possiamo affrontarla pur nella varietà dei sistemi di lavoro, welfare e dei modelli familiari che sono diversi da paese a paese?

Il professor Hans Peter Blossfeld, sociologo tra i più autorevoli in Europa che in passato ha insegnato anche all’ateneo di Trento e attualmente è titolare della cattedra di Sociologia all’università di Bamberg, in occasione del Festival dell’Economia 2012 ha parlato di un progetto di ricerca pluriennale che ha avuto come oggetto l’effetto della globalizzazione sulle nostre vite a livello mondiale. La conferenza, tenutasi nella affollata sala di Palazzo Geremia sabato primo giugno nel pomeriggio, è stata introdotta dal giornalista Stefano Feltri ed  ha preso spunto da alcune domande fondamentali sulla sostanza del concetto di globalizzazione. Tali quesiti sono stati formulati dal professor Blossfeld in modo analitico e con riferimento alle metodiche adottate nella ricerca svolta e tuttavia, trattandosi di tematiche che ci toccando direttamente ben oltre il mero impatto economico che la globalizzazione ha sulle nostre vite, hanno catturato immediatamente l’attenzione del pubblico.

Le sue risposte hanno avuto un sapore meno freddo di quelle date dagli economisti anche perché, nel corso dell’esposizione, Hans Peter Blossfeld - con l’esperienza del relatore di rango - ci ha portato implicitamente a vedere noi stessi mentre attraversiamo le fasi della vita (la parte formativa, l’ingresso nel mondo del lavoro, la lotta per mantenerlo, la realizzazione delle istanze fondamentali come sposarsi ed avere figli, il momento di lasciare il lavoro).  

Blossfeld ha affermato che, se la globalizzazione ha portato anche cose positive, ha però esposto tutti noi ad una crescente incertezza (mediata da filtri culturali diversi, da istituzioni storicamente diverse ma pur sempre violenta)  nella quale siamo accomunati come genere umano e alla quale probabilmente solo come società umana nel suo complesso siamo chiamati a dare una risposta vincente.  

Ma vediamo nel dettaglio il dipanarsi tra dati e conoscenze. Blossfeld ha spiegato che nel corso del progetto di ricerca il concetto di globalizzazione è stato analizzato profondamente ed è risultato composto da alcuni macro sviluppi il primo dei quali è l’internazionalizzazione dei mercati.

Storicamente il punto di innesco della globalizzazione è stata infatti la caduta della cortina di ferro e la disgregazione del blocco comunista sovietico. Ciò ha portato alla ribalta paesi che vivevano in modo diverso con livelli di produttività differenti e ha determinato violente variazioni (in meglio ma anche in peggio) degli standard sociali. Vi è stato in molti casi un aumento del carico fiscale sulle aziende (molte delle quali sono passate dalla mano pubblica al privato) che si sono dovute esporre direttamente al mercato. Un secondo macro sviluppo connesso alla globalizzazione è stato l’aumento esponenziale delle reti di comunicazione che ha provocato un’interdipendenza quasi in tempo reale dei mercati locali con eventi anche geograficamente distanti. Adesso se c’è una guerra anche molto lontana dal nostro paese i prezzi aumentano e noi ne abbiamo percezione immediata.

Lo studio ha dimostrato che tali interconnessioni sono indipendenti dal tipo di guida politica liberale o socialdemocratica del paese specifico. Quali sono le facce positive della globalizzazione? Sicuramente l’aumento della produttività e l’aumento della terziarizzazione dei lavori che risultano perciò tipicamente a maggior reddito.  Un elemento ulteriore è stata la richiesta di maggiore flessibilità da parte del mercato alle aziende che, più esposte alla concorrenza diretta e quindi all’incertezza, hanno iniziato a programmare e gestire il loro ciclo produttivo su tempi sempre più brevi (se il reporting aziendale prima della globalizzazione veniva in genere fatto su base annuale adesso viene programmato sempre più spesso su base trimestrale o addirittura mensile).

L’incertezza a prevedere sul lungo periodo da parte delle aziende si è trasmessa, tramite una maggiore incertezza della sicurezza del posto di lavoro, alla società civile nella quale il singolo agisce sì sulla base di filtri locali di protezione più o meno favorevoli, ma in ogni caso è stato costretto a rivedere attraverso obiettivi sempre più vicini nel tempo il proprio progetto di vita. In altre parole – e questo è il concetto di fondo rimarcato dal sociologo - è stata messa in crisi la reciprocità sociale: sposarsi è istituire un patto a due necessariamente a lungo termine di reciproca lealtà, generare figli e crescerli richiede un impegno costante di anni. Se tali patti interpersonali non possono essere mantenuti per l’azione di forze esterne che generano instabilità, la nostra vita diventa non programmabile.

Per quanto attiene gli sviluppi di una simile situazione Blossfeld ha ricordato che c’è un’ipotesi condivisa da molti studiosi riguardante la società moderna: quella della convergenza, per cui tutti i paesi si stanno spostando verso situazioni analoghe. Sulla base dei risultati della ricerca ha affermato che tale ipotesi non è vera. Quello che accade in realtà è che l’incertezza causa problemi differenti in paesi diversi.  I politici reagiscono diversamente da paese a paese perché hanno pre-condizioni e vincoli differenti. Investito dalla globalizzazione ogni paese reagisce a modo proprio. Magari all’opposto di un altro. In questo genere di dinamica i preesistenti sistemi del lavoro, dell’istruzione, del  welfare, le idee e concezioni specifiche di un certo popolo e i sistemi familiari, sono importanti.

In tale variegato contesto Blossfeld ha analizzato la situazione dei giovani e, come elemento unificatore di tanta diversità, ha fatto emergere un dato trasversale. Ha rimarcato che il cosiddetto fenomeno dei “bamboccioni” non è da attribuire alla mancanza di indipendenza delle nuove generazioni ma da vincoli reali sulla loro vita determinati dalla globalizzazione e da miopi scelte sociali del passato. Ha infine sottolineato che, nella società attuale e in quella a venire, la formazione superiore e la qualificazione, così come un’efficace cinghia di trasmissione tra mondo dello studio e mondo del lavoro (attraverso un sempre più accentuato inserimento dei giovani in azienda anche durante la fase di formazione) sono il fattore vincente per affrontare le sfide che ci aspettano.

Serge Latouche: l’economia dell’abbondanza frugale

Come affrontare le sfide economiche con un approccio alternativo

Serge Latouche“Esiste un diniego del trasferimento del debito tra le generazioni perché siamo ancora governati da teorie economiche che credono nella crescita infinita anche se queste teorie sono smentite dai fatti e addirittura sono in contrasto con le leggi naturali di base, come dimostrato da studi economici e sociali seri."

“Ci siamo lasciati fagocitare da un modo di vivere che ci costringe a consumare  beni che non ci servono attraverso dei trucchi come la pubblicità."

“Viviamo costantemente intaccando le risorse della terra ben al di sopra della capacità del nostro pianeta di rinnovarle quando è possibile….continuando così lasceremo ai nostri figli non maggiore ricchezza ma una bomba a scoppio ritardato”.

Serge Latouche, filosofo, umanista e scrittore, professore emerito di Scienze Economiche all’Università di Parigi XI, relatore tra i più attesi alla settima edizione del Festival dell’Economia 2012, parla chiaro nel denunciare la situazione nella quale viviamo e il pubblico, che ha gremito  l’Auditorium S.Chiara domenica 3 giugno, appare in perfetta sintonia con le idee via via esposte non solo per quanto riguarda il problema ma anche per come viene modellata da Latouche la soluzione: un’economia di decrescita che conduca all’abbondanza frugale.

La relazione  viene introdotta dal giornalista francese Eric Joszef e Latouche inizia ricordando il film di Jean Paul Jaud “I nostri figli ci accuseranno” che ha dato lo spunto per il titolo dell’incontro “si parla di un piccolo paese francese di viticoltori e del dolore delle famiglie che perdono padri o figli a causa del cancro causato dall’uso di pesticidi” e prosegue alternando considerazioni di natura strettamente economica  su dati precisi “il peso del nostro modo di vivere sul pianeta si può misurare con l’impronta ecologica (tutto ciò che produciamo sul nostro pianeta si traduce in uno spazio di risorse che occupiamo) che attualmente supera del 50% la capacità di rigenerazione della biosfera”  con considerazioni altrettanto se non addirittura più ficcanti quando contrappone una citazione dal “Capitale” di Karl Marx nella quale si afferma che “una società intera, una nazione, neanche tutte le società contemporanee riunite sono proprietarie della terra, ne sono solo possessori, ne hanno solo l’usufrutto e devono tramandarla alle generazioni successive dopo averla migliorata come farebbe un buon pater familias” a quella “dell’altro Marx, Groucho Marx, che afferma: perché dovrei occuparmi dei posteri quando i posteri non si sono mai occupati di me?”.

Latouche utilizza la battuta per dare maggior risalto alla sua affermazione che  l’attuale economia dello sviluppo infinito ci porterà alla catastrofe perché si muove seguendo una linea di pensiero egoistica e miope che è palesemente errata. La soluzione sta in una economia circolare, una produzione industriale che imiti il ciclo della natura in cui ogni cosa scartata da un processo viene utilizzata per alimentare il processo successivo. Questo modo di produrre esiste già in alcuni distretti industriali (Latouche cita un esempio danese) ma per essere ampliato necessita di una profonda rivoluzione filosofica e di una organizzazione e legislazione specifica che ci permetta di uscire dalla “religione economica” della crescita infinita e trovare finalmente la saggezza della frugalità. Secondo Latouche è questa la via per la vera abbondanza, che ci permetterà di costruire una economia post-industriale dove le tecniche e gli strumenti serviranno in primo luogo a creare valori de-mercificati e dove il denaro sarà considerato  un bene comune  che non deve essere lasciato alla proprietà privata delle banche.

Latouche, al termine e prendendo spunto dalla fitta serie di domande poste dalla platea, approfondisce il suo pensiero con riferimento ad autorevoli studiosi citati come fonte: “il dramma di oggi non è la decrescita del PiL ma è la disoccupazione che è una tragedia. Abbiamo la soluzione basata su alcuni principi: il primo è rilocalizzare i posti di lavoro. La globalizzazione è stata un trasloco su scala globale ma soprattutto la guerra di tutti contro tutti, un massacro su scala mondiale. Rilocalizzare significa de-mondializzare l’economia”  e ancora “Le idee devono circolare il più liberamente possibile, le merci il meno possibile, i capitali per niente”  tutto ciò perché secondo Serge Latouche “Le lacrime e il sangue le abbiamo già con il modello di economia che viviamo adesso e la decrescita felice è allora l’unica speranza di andare verso una società più umana”.