Islamismo e società cosmopolita

ISLAMISMO E SOCIETÀ COSMOPOLITA

in
Conversazione con il professor Joerg Friedrichs dell'Università di Oxford
di Irene Costantini

Jörg Friedrichs è docente del programma Global Governance and Diplomacy, Dipartimento di Sviluppo Internazionale, presso l'Università di Oxford. Il 6 dicembre scorso ha tenuto una lectio magistralis presso la Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento dal titolo “Global Islamism and World Society”. In quella occasione gli abbiamo rivolto alcune domande.

professor Joerg FriedrichsProfessor Friedrichs, lei descrive la società cosmopolita e l'islamismo globale come due progetti politici antagonisti. Che possibilità di dialogo esiste tra loro?

La società cosmopolita e l'islamismo globale sono due fenomeni recenti nel più ampio processo di globalizzazione. Entrambi aspirano a una validità universale e cercano di realizzare un progetto animato da valori diversi: da una parte, il progresso e il mercato, e dall'altra l'unità dell' “umma”, la comunità islamica. In teoria, i due progetti sono antagonisti poiché non si possono realizzare pienamente nello stesso spazio. In pratica possono coesistere, come possono coesistere due avversari, in modo più o meno pacifico. Ma credo che tra la società cosmopolita e l'islamismo globale prevarrà il confronto sul dialogo, se con dialogo intendiamo la negoziazione, il mettere in discussione la sostanza del proprio progetto. 

Il multiculturalismo promosso in alcune società occidentali può essere interpretato come una forma di dialogo. Recentemente però, il Primo Ministro inglese David Cameron ha sostenuto che il multiculturalismo è fallito. È d'accordo?

Il multiculturalismo dove funziona è una bellissima cosa. Funziona, ad esempio, con certi gruppi di immigrati, ma non con altri. Quindi bisogna saper distinguere, trattare diversamente ciò che è diverso. L'incapacità (o il tabù) di distinguere è uno dei problemi dello stesso multiculturalismo. Quest'ultimo poi, dove è troppo ingenuo, crea cattivi cittadini perché diventa troppo facile abusarne. Questo può peggiorare i problemi invece di alleviarli.  

Quali limiti riconosce alla società cosmopolita e al suo progetto politico?

Il cosmopolitismo vuole arrivare a livello globale trascendendo tutti i confini, per cui la discriminazione viene considerata illegittima. Questa è la strategia e la tattica del cosmopolitismo. Il suo istinto è quello di negare l'esistenza degli avversari poiché non esiste nulla che non faccia parte della società civile cosmopolita. Ebbene, è necessario conoscere il proprio avversario. Credo che sia più onesto riconoscere le incompatibilità ed eventualmente dichiarare il proprio dissenso. 

Eppure nell'ultimo decennio abbiamo assistito a due guerre, in Afghanistan e in Iraq dichiarate contro un nemico. Cosa ne pensa?

Questa è un'altra debolezza inerente al cosmopolitismo che, come dicevo, cerca di non riconoscere l'esistenza del nemico. Quando, però, quest'ultimo rimane tale o non diventa un partner nel dialogo multiculturale, allora si criminalizza. Tipicamente l’ostilità viene circoscritta ad un gruppo oppure ad un singolo individuo. Per esempio, nella guerra in Iraq si supponeva che il problema non fosse il popolo iracheno, ma Saddam Hussein e il suo seguito. Si demonizza solo la punta dell'iceberg e la si colpisce. Però, in realtà, il problema è l'iceberg. È controproducente demonizzare soltanto la parte più estrema, senza analizzare la situazione nel suo complesso. 

Un'ultima domanda sulla Primavera Araba. I partiti islamisti in Paesi come la Tunisia e l'Egitto hanno partecipato ad elezioni democratiche libere: ciò potrebbe essere interpretato come un riavvicinamento tra i due progetti?

Da una parte, l'islamismo sta testimoniando una svolta nazionale. Questi sono partiti nazionali che competono in elezioni nazionali, con dei programmi nazionali. In alcuni casi possono persino essere una parte integrante della società civile. Per ora, la Tunisia, dove ha vinto un movimento relativamente moderato, sembra essere un'esperienza positiva. In Egitto, invece, la situazione sembra più complessa. Ci sono, quindi, segnali molto contraddittori provenienti dalla regione araba. Potrebbe succedere quel che è successo con il comunismo: nel momento in cui si è trasformato in diversi socialismi o social-democrazie nazionali non rappresentava più il movimento rivoluzionario globale che, fino ad allora, aveva voluto essere. Una tale involuzione potrebbe essere una rotta anche per l'islamismo.