VERO E FALSO NELLA CRITICA DEL TESTO

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Una lezione di Cesare Segre, ospite del Collegio di merito Bernardo Clesio
di Andrea Comboni

Su invito del Collegio di merito Bernardo Clesio, nello scorso mese di ottobre, Cesare Segre ha tenuto una rigorosa e articolata lezione sul tema: "Vero e falso nella critica del testo". Segre, uno dei maggiori critici, filologi e teorici della letteratura, ha insegnato per quarant’anni filologia romanza nell’Università di Pavia. Accademico della Crusca e dei Lincei, è stato presidente dell’International Association for Semiotic Studies e con le sue ricerche ha contribuito in misura rilevante ad introdurre le teorie strutturalistche e semiotiche nella critica letteraria italiana. Ha inoltre esercitato un’innovativa ed esemplare attività di filologo, allestendo l’edizione critica di numerosi testi: dal "Bestiaire d’Amours" di Richart de Fornival al "Libro de’ Vizî e delle Virtudi" di Bono Giamboni, dalla "Chanson de Roland" all’ "Orlando Furioso" e alle "Satire" di Ariosto.

Nel suo intervento trentino, Segre, con la consueta limpidezza, essenzialità e concretezza, ha ripercorso le tappe fondamentali della moderna critica testuale, sviluppatasi a partire dall’opera del filologo tedesco Karl Lachmann, attivo nella prima metà del XIX secolo nei diversi campi della filologia biblica, classica e germanica. Com’è noto, uno dei compiti fondamentali della critica testuale è il tentativo di ricostruire un testo il più possibile vicino a quello dell’originale (andato perduto), distinguendo nelle copie (manoscritte e/o a stampa) giunte fino a noi il vero dal falso. Al nome di Lachmann viene tradizionalmente attribuita l’elaborazione di un vero e proprio metodo, basato fondamentalmente sulla ricerca degli errori e finalizzato alla individuazione dei rapporti che intercorrono tra i testimoni superstiti di una determinata opera e tra questi e l’originale perduto. Rapporti che poi vengono visualizzati attraverso rappresentazioni grafiche chiamate stemmi (alberi genealogici dei testimoni). La capacità di distinguere le lezioni corrette (risalenti, con ogni probabilità, all’originale) da quelle erronee o imprecise (imputabili a guasti e incidenti di varia natura avvenuti nel corso della trasmissione del testo attraverso il tempo) diventa, quindi, un’operazione decisiva ai fini della ricostruzione del testo originale o, più realisticamente, del suo archetipo (antenato comune da cui derivano tutte le copie superstiti). In critica testuale la verità è la correttezza testuale. A tale riguardo Segre ha offerto una significativa serie di esempi ricavati dal suo lavoro di editore critico del "Libro de’ Vizî e delle Virtudi" di Bono Giamboni (Einaudi, Torino 1968).

Una volta ricostruito l’archetipo – ha ricordato Segre – si è ricostruito un testo sì soddisfacente, ma con un certo numero di errori (l’esistenza stessa dell’archetipo si  basa, infatti, sulla circostanza che in esso sia presente una serie di guasti, trasmessi poi inevitabilmente, come una sorta di tara genetica, a tutti i discendenti): in casi del genere ci si trova così di fronte a lezioni individuabili come certamente erronee che si tenterà di correggere per congettura ('ope ingenii'). Ma l’elaborazione di una congettura richiede una conoscenza molto approfondita, se non perfetta, della lingua dell’autore del testo e rimane, in ogni caso, un intervento che giunge alla formulazione di una ipotesi di verità.

Segre ha poi ricordato i nomi di Joseph Bediér (fortemente critico nei confronti del metodo ricostruttivo del Lachmann, al quale oppose il criterio del 'bon manuscrit') e quello del grande filologo classico Giorgio Pasquali, al quale si deve quel vero e proprio capolavoro filologico che è "Storia della tradizione e critica del testo" (1934), nel quale si sottolinea quanto sia importante ai fini delle operazioni di critica testuale lo studio attento e intelligente delle modalità con cui si è sviluppata la tradizione, cioè la trasmissione dei testi nei diversi tempi e nei diversi luoghi.

Un’altra verità da ricercare, per il critico del testo, ha osservato Segre nell’ultima parte della sua lezione, è quella relativa alla veste linguistica dell’originale. I copisti, infatti, lavorano "tra due poli d’attrazione: lo sforzo di rispettare l’esemplare da cui copiano, e la tendenza a seguire le proprie abitudini linguistiche. Il risultato è un compromesso linguistico; e il filologo deve faticosamente individuare, per esempio attraverso le rime, l’aspetto originario del testo". La verità del testo è la meta di ogni operazione di critica testuale. Come ha scritto Segre in un suo articolo del 1998 pubblicato sulla rivista "Lettere italiane": "L’ecdotica, ricostruita la genealogia dei manoscritti, risale progressivamente ai nodi principali della tradizione, sino ad avvicinarsi all’archetipo, espungendo mentalmente le varianti erronee o comunque non genuine. Alla fine ci rende il testo, talora segnato o incrinato dal tempo, eppure venerabile per quanto ancora conserva del suo aspetto iniziale. Il testo è tutto il nostro bene; nessuna nostra escogitazione per quanto brillante o suggestiva può valere e significare di più del testo nella sua maestà. Questa maestà coincide con la verità, che è nostro dovere perseguire con impegno, nel testo e ovunque".