L'AZIONE EDUCATIVA PER UN MUSEO IN ASCOLTO

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Il dialogo fra museo e visitatore e il rapporto con pubblici diversi. La partecipazione della Facoltà di Lettere e Filosofia al convegno del Museo Diocesano Tridentino
di Domenica Primerano

Il titolo dell'VIII convegno AMEI, "L’azione educativa per un museo in ascolto", riassume bene il senso dei tre giorni di lavoro: volevamo sottolineare la necessità che il museo si ponga in ascolto della società in cui opera per poter essere davvero inclusivo e non autoreferenziale. Per troppo tempo infatti il museo è stato un luogo di esclusione: le collezioni esposte altro non sono che una campionatura della realtà decisa dagli esperti, presentata secondo sistemi di classificazione indecifrabili ai più. Di qui il senso di inadeguatezza, di soggezione che coglie chi lo frequenta. Il museo ha avuto sostanzialmente il ruolo di garante e unico interprete del patrimonio, inteso come un insieme statico di beni di valore immutabile e universale. Tra museo e visitatore veniva privilegiato un modello di trasmissione a senso unico, diremmo: il museo, quale fonte autorevole, trasferiva conoscenze a un visitatore passivo. Il processo di ripensamento che in tempi recenti ha interessato il museo ha indicato una nuova strada: il museo può diventare territorio di scambio e di relazioni se è disposto ad accogliere punti di vista e interpretazioni molteplici relative ai beni che espone. L’educazione museale in tutto questo gioca un ruolo fondamentale: formando abilità, competenze, saperi, consente al visitatore di attribuire nuovi significati al patrimonio culturale che così non viene solo conservato e trasmesso, ma anche “messo in gioco”, reinterpretato. Ma, per farlo, il museo deve saper ascoltare.
Il convegno ha puntato l’attenzione anche sulla necessità di entrare in dialogo con pubblici diversi: per farlo però occorre conoscere, attraverso specifiche rilevazioni, la composizione del pubblico che frequenta i musei, nelle sue diverse segmentazioni. In questo modo è possibile calibrare meglio l’offerta, attivando iniziative mirate a soddisfare le esigenze di pubblici diversi. Al contempo queste indagini fotografano il cosiddetto non-pubblico: coloro che ancora, per motivi diversi, non sono stimolati a entrare in museo. Anche per costoro il museo, se vuole assolvere al proprio ruolo sociale, deve elaborare strategie di inclusione culturale.
Si è parlato anche di percorsi di inclusione culturale e cittadinanza attiva dei cittadini di origine immigrata, presentando progetti pilota che hanno condotto ad una sorta di rinegoziazione del patrimonio e dei suoi significati e favorito lo scambio tra culture diverse. Si tratta di un tema di grande attualità, affrontato in Italia in modo ancora del tutto sperimentale.

È stata toccata inoltre la questione delle professioni museali legate alle attività educative: per molti giovani infatti la didattica può costituire uno sbocco lavorativo importante. Troppo spesso si pensa che si tratti di un’occupazione provvisoria, in attesa di un lavoro vero: in realtà la figura dell’educatore museale è assolutamente centrale e richiede, al pari di altre, grande professionalità e preparazione. Nelle nostre facoltà purtroppo sono poche le ore di insegnamento relative all’educazione museale: in considerazione di questa grave lacuna, il convegno è stato pensato anche per fornire indicazioni importanti a quegli studenti che volessero orientare i propri studi in tal senso. Tra i relatori infatti erano presenti, oltre ai massimi esperti del settore, responsabili e docenti di master universitari in servizi educativi al patrimonio.

Il convegno è stato organizzato dall’Associazione Musei Ecclesiastici Italiani per rispondere a una domanda centrale: come può un museo ecclesiastico coniugare azione educativa e finalità pastorale senza rischiare di escludere? Jérôme Cottin, docente presso la Facoltà di Teologia protestante dell’Università di Strasburgo, ha indicato una strada ben precisa: ritiene infatti che l’opera d’arte contemporanea, inserita nei luoghi di culto o nei musei ecclesiastici, possa essere il tramite per avvicinare sensibilità diverse, religiose e non. A suo giudizio la produzione artistica contemporanea, di cui ha portato numerosi esempi da "Very, very hungry God" di Subodh Gupta, a "Résurrection" di Valérie Colombel, a "Extases" di Ernest Pignon-Ernest, è quella che meglio esprime la spiritualità di oggi. Può essere questo il fertile terreno da cui fa scaturire il dialogo.