UN ATENEO PIÙ AGILE E ATTENTO AI RISULTATI

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La delega di funzioni statali alla Provincia. Al via i lavori per scrivere lo Statuto
Intervista di Marinella Daidone a Davide Bassi

Lo scorso 23 agosto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato il decreto legislativo di “Delega alla Provincia autonoma di Trento delle funzioni legislative e amministrative statali in materia di Università degli Studi di Trento”, decreto che era stato approvato dal Consiglio dei Ministri nel mese di giugno. Si tratta di una tappa importante di un percorso iniziato a fine 2009, destinato a portare cambiamenti rilevanti per l’ateneo.
Ne abbiamo parlato con il rettore, professor Davide Bassi.   

Professor Bassi, la pubblicazione del decreto di delega alla Provincia autonoma di Trento in materia di università è il primo traguardo di un lungo iter. Si ritiene soddisfatto dei risultati raggiunti finora?

I tempi di pubblicazione del decreto legislativo sono stati lunghi, ma non dipendevano da noi. Finalmente il processo è arrivato a buon fine, raggiungendo quindi un primo risultato parziale. Il lavoro per noi inizia adesso con la scrittura dello Statuto e la successiva elaborazione dei regolamenti attuativi dello Statuto. Questo tempo, però, non è passato invano perché è servito per discutere le varie opzioni che abbiamo sul tappeto e per approfondire tematiche legate all’applicazione della riforma Gelmini, altro elemento di novità che va in parallelo con il decreto di delega alla Provincia. Credo che ormai l’università sia pronta per fare sintesi e per arrivare a risultati soddisfacenti per tutti.

Quali sono le principali novità introdotte dal decreto?

Il decreto in realtà fa riferimento alla normativa nazionale, quindi in primo luogo alla riforma Gelmini, ma introduce dei gradi di libertà ulteriori che non stravolgono la normativa nazionale e che, se utilizzati bene, ci potranno permettere di gestire la nostra università in modo più efficace.
Quindi in questo momento la palla è dalla nostra parte del campo: occorre affrontare questa sfida con coraggio, consapevoli che non mancheranno difficoltà. Il rischio da evitare è quello di appiattirsi sulla norma nazionale; si tratta quindi di avere un approccio equilibrato tra gli elementi di novità, ispirati a standard europei, e i principi generali ancorati al sistema italiano.

Entro sei mesi si dovrà riscrivere lo statuto, si disegnerà una nuova università? Che modello di università Lei ha in mente?

Vorrei ricordare che la nostra università non si trova in condizioni di particolari difficoltà. È un’università che funziona bene, che ha saputo svolgere un ruolo importante, a livello nazionale ed europeo, e quindi che parte da una buona base. Bisogna migliorare quello che già abbiamo senza stravolgere molte delle linee di impostazione portate avanti fino adesso. Si tratta, quindi, di continuare su una strada intrapresa da molti anni e di avere un’università che si aggancia ai migliori standard europei, a cominciare da una formazione più legata alla ricerca e in stretta collaborazione con importanti soggetti sia a livello nazionale che internazionale.
La delega ci offre delle opportunità in più, nel senso che ci permette di affrontare queste tematiche in maniera più agile, più attenta ai risultati e con meno burocrazia. Un altro aspetto importante è quello legato all’uso ottimale delle risorse: le istituzioni formative dipendono dalla finanza pubblica e tutti noi conosciamo le difficoltà degli Stati e dei Governi regionali a causa della crisi economica.
Crisi economica significa meno risorse e quindi assoluta necessità di utilizzare le risorse al meglio, perché è un nostro dovere etico prima ancora che legato alla necessità di far quadrare i bilanci. Come amministratore pubblico sono sempre stato attento a questo tema e credo che la nostra università da questo punto di vista abbia già fatto passi importanti. La nuova organizzazione dell’ateneo dovrà servire a rendere il sistema più snello ed efficace, mantenendo capacità decisionali che sono indispensabili per affrontare e risolvere i problemi, poiché, proprio a causa delle risorse limitate, non possiamo permetterci la minima perdita di efficienza.

Lo statuto dovrà definire anche le nuove strutture didattiche e di ricerca?

Questa è una conseguenza della riforma Gelmini, è un’operazione che gli altri atenei italiani hanno già fatto o stanno completando proprio in questi mesi. Credo che possa essere utile anche guardare all’esperienza di altre università e alle diverse soluzioni messe in campo. La legge nazionale garantisce una certa flessibilità. Le idee fondamentali sono quelle di avere una struttura incentrata sui dipartimenti con la sparizione delle facoltà, ma c’è anche una forte attenzione per la salvaguardia di quegli spazi di collaborazione fra discipline che è fondamentale per affrontare le problematiche e le sfide che l’università ha davanti.

Come cambierà la governance dell’ateneo?

I cambiamenti saranno rilevanti sia per quanto riguarda il Consiglio di amministrazione (l’Organo di amministrazione) che il Senato accademico (l’organo di governo scientifico). Per quanto riguarda il Consiglio di amministrazione (Cda), la delega va molto avanti rispetto agli standard nazionali, con soluzioni vicine a quelle di Paesi come l’Austria, in cui il Cda è separato dall’accademia; rimangono come elementi di raccordo la presenza del rettore e del presidente del Consiglio degli studenti. Il Cda ha un compito sostanzialmente di salvaguardia della stabilità finanziaria, oltre che di verifica dell’utilizzo delle risorse rispetto agli obiettivi che la parte accademica si è prefissata. Il Senato, che diventa l’organo di governo unitario di didattica e ricerca, sarà composto da docenti rappresentanti delle aree scientifiche in cui l’ateneo è articolato e non dai direttori di Dipartimento. Questi ultimi avranno invece una responsabilità su didattica e ricerca a livello dei singoli Dipartimenti. I cambiamenti saranno molto forti e richiederanno poi una messa a punto con i regolamenti attuativi. Sarà un lavoro molto impegnativo, ma credo che ci siano le basi per procedere in modo sufficientemente rapido ed efficace.
Toccando equilibri preesistenti bisogna tener conto di eventuali resistenze o timori per il cambiamento; queste resistenze non vanno sottovalutate, ma superate cercando di arrivare a soluzioni utili per tutti.

Per quanto riguarda il personale docente, quali sono le novità relative al reclutamento e alla carriera di professori e ricercatori?

A modificare lo status quo attuale non è tanto il decreto di delega, ma sono le norme nazionali, ossia la legge Gelmini. I cambiamenti che noi potremo introdurre a livello locale sono minimi; la delega ci offre comunque qualche spazio in più con la possibilità di attivare una figura di research professor, che va però negoziata con il Ministero. In questo momento è ancora troppo presto per poter dire quali saranno le caratteristiche di questa figura e come si raccorderà con la normativa nazionale.

Ci saranno dei cambiamenti per il personale tecnico-amministrativo?

Non penso a cambiamenti particolarmente significativi, poiché non siamo un’università in crisi da riformare, ma un ateneo che funziona bene e continuerà sulle linee già intraprese. Ovviamente ci saranno dei cambiamenti dovuti all’unificazione delle strutture di didattica e ricerca che coinvolgeranno anche il personale tecnico-amministrativo.

È previsto un ampliamento del ruolo dell’ateneo in materia di diritto allo studio?

Auspico che nell’ambito della legge che sarà discussa in Provincia nei prossimi mesi questo tema venga affrontato. Oggi c’è una separazione tra università e Opera universitaria, l’ente per il diritto allo studio, che aveva un senso in passato, quando l’Opera faceva riferimento alla Provincia mentre l’università faceva riferimento allo Stato. Oggi la Provincia è il principale erogatore di finanziamenti di entrambe le istituzioni. Ci sono, però, alcuni aspetti delicati legati al fatto che l’Opera svolge un’assistenza a studenti trentini che frequentano un’università diversa dall’Università di Trento. È un aspetto che può essere gestito e ritengo auspicabile, anche a livello operativo, un maggiore raccordo tra le due istituzioni tenendo presente prima di tutto l’utente finale, ossia lo studente.

Pensa che la strada intrapresa dall’Università di Trento possa rappresentare un modello nuovo da imitare?

Non sta a me dire se noi rappresentiamo un modello da imitare. Credo sia importante in un momento di grave crisi economica e di specifica crisi del sistema universitario nazionale - una crisi quest’ultima che dura ormai da molti anni - sperimentare vie alternative rispetto agli approcci standard del nostro Paese e ritengo che questa sperimentazione sia possibile per molti atenei. Evidentemente è difficile trasferire la nostra esperienza ad atenei di grandi dimensioni, perché alcune problematiche e interazioni cambiano strutturalmente. Probabilmente alcune delle esperienze portate avanti a Trento potrebbero essere utili anche per altri, come è già avvenuto a livello della riforma Gelmini che si è ispirata, in parte, a sperimentazioni che erano state attuate dal nostro ateneo.