SPAZIO GEOGRAFICO E SPAZIO LETTERARIO

in
A Trento un convegno internazionale su “Topografia e spazio nella lingua e letteratura tedesca”
di Fabrizio Cambi

“L’uomo ha bisogno di un quadro del mondo e del posto che occupa all’interno di esso, strutturato e dotato di una coesione interna. L’uomo ha bisogno di una carta geografica del suo mondo naturale e sociale, senza la quale sarebbe confuso e incapace di un’azione avveduta e coerente”, così scriveva Erich Fromm in “Anatomia della distruttività umana” (1973). In questi ultimi decenni la dimensione dello spazio nelle sue declinazioni descrittive e nelle sue (dis)articolazioni simboliche è divenuta sempre più la costellazione chiave di orientamento culturale e di costruzione e decodificazione del testo letterario. Anche il corredo lessicale ormai corrente di mappatura, topografia dei modelli letterari, centralità e dislocazione, cartografia e scrittura, confini e sconfinamenti, richiama e accentua una categoria, appunto quella spaziale in cui si sedimentano e si sublimano l’immaginario e la memoria dello scrittore e, di riflesso, del lettore. Nell’epoca dell’annullamento della distanza, del vicino e del lontano, nella convinzione del poter esser-ci comunque in una sorta di simultaneità e transfer esistenziale dati dalla navigazione virtuale, lo spatial turn e il topological turn, non solo nei cultural studies, offrono sempre più strumenti e prospettive ermeneutici del testo letterario, prodotto spesso a sua volta di queste dinamiche.

La percezione estensiva e contrastiva della spazialità è stata alimentata, e come sappiamo ancora oggi continua ad esserlo, dalla rete enorme di flussi migratori dal secondo dopoguerra alla caduta del Muro, alle guerre balcaniche e ai sommovimenti nei Paesi nordafricani recenti e ancora in corso. Lo scrittore migrante come ad esempio, restando nell’area germanofona, il bosniaco Saša Stanišić, il turco Feridun Zaimoğlu, il bulgaro Ilija Trojanow, con la sua letteratura sconfinante speculare del suo cosmopolitismo, la rumena Catalin Dorian Florescu, la stessa Herta Müller, premio Nobel nel 2009, portano come bagaglio le loro radici e la loro geografia. Quindi non si tratta più soltanto di fissare meccanicamente le canoniche coordinate ambientali della vicenda narrata, calata in un preciso arco temporale che secondo la tradizione ottocentesca aveva priorità e maggiore dignità e attrazione, ma di ricostruire i codici anche simbolici delle rappresentazioni spaziali. Superato e considerato ingenuo risulta il modello del racconto a cornice in cui lo scrittore delega al narratore attempato di ripercorrere la propria vita, o citando dall’ “Uomo senza qualità” di Musil “la possibilità di riprodurre l’esuberante molteplicità della vita in una sola dimensione, come direbbe un matematico, di disporre tutto ciò che è accaduto nel tempo e nello spazio lungo il filo, appunto quel famoso ‘filo del racconto’ di cui è dunque fatto anche il filo della vita! Beato colui che può dire ‘allorché’, ‘prima che’ e ‘dopo che’!”.

Fra topografia e letteratura si stabilisce un rapporto complementare e osmotico la cui evoluzione s’intreccia in modo flessibile e trasversale con i luoghi della diacronia temporale, negli snodi tragici della storia del Novecento. Il tempo viene per così dire attratto nella spazialità che l’accoglie e lo ingloba. Occorre ovviamente rilevare una duplicità di piani prospettici: quello del lettore contemporaneo che, inserito nel proprio orizzonte ermeneutico, mira ad applicare anche alla letteratura del passato schemi e metodi di analisi e decostruzione del testo da lui sentiti come più congeniali, e quello dell’autore di oggi, tendenzialmente portato a riversare in una geografia vissuta o inventata le sue figurazioni letterarie. Ma anche quando non si verificano escursioni nomadiche, che producono contrappunti, cortocircuiti e ibridazioni anche linguistiche, lo spazio come tessuto urbano, depositario di storia e di immagini distillate dal susseguirsi di generazioni diviene spesso medium di narrazione. Si pensi ad esempio a Berlino, nella cui topografia e addirittura toponomastica le storie narrate in “Luogo eventuale” (1964) di Ingeborg Bachmann, dove la topografia si trasforma in una patografia, nel “Cielo diviso” (1963) di Christa Wolf, in cui la divisione attraversa chirurgicamente la città, o nel romanzo “Ė una lunga storia” (1995) di Günter Grass, una rassegna di 150 anni di storia tedesca scandita anche cartograficamente, per citare nomi molto noti, creano memoria storica preservando e presidiando con lo sguardo puntato su luoghi e cose anche ciò che è stato distrutto.

Paesaggi, luoghi e oggetti si fanno raccontare perché ad essi ci si aggrappa per ancorare un’esistenza che affida la memoria ormai alla localizzazione più che al tempo, apparentemente non più rappresentabile proprio perché aggredito dalla simultaneità. La memoria e la reinvenzione degli spazi nella letteratura contemporanea si misurano tuttavia anche in una topografia del terrore, calata nei luoghi tragici dei lager e dei gulag, si pensi ai romanzi “Nudo fra i lupi” (1961) di Bruno Apitz, a “Una giornata di Ivan Denisovič” (1962) o “Arcipelago Gulag” (1974) di Alexandr Solženicyn o al recente “Altalena del respiro” (2009) di Herta Müller.
Da questi pochi cenni si può comprendere la rilevanza del convegno internazionale su Topografia e spazio nella lingua e letteratura tedesca organizzato lo scorso maggio dalla “Österreichische Gesellschaft für Germanistik”, dal Dipartimento di Studi filologici, linguistici e letterari e dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. L’ampio spettro delle tematiche trattate in chiave diacronica e nella trasversalità dei generi e la vivace discussione che si è sviluppata hanno costituito una conferma ulteriore dell’attualità e della problematicità di una categoria quale quella dello spazio che la letteratura sempre più insegue e cerca di catturare e rappresentare nelle sue figurazioni senza mai poterlo esaurire.