Ciclo di incontri su “Memoria e diritto”, archivio Università di Trento

Il TERRORISMO DEGLI ANNI SETTANTA

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Esperienze italiane e tedesche a confronto. A Giurisprudenza ciclo di incontri su “Memoria e diritto”
di Jens Woelk

“La storia può essere condivisa, la memoria no!”, così si è espresso Manlio Milani, testimone della strage e presidente dell’associazione delle vittime di Piazza della Loggia, al secondo incontro di “Percorsi di memoria e diritto” che si è svolto presso il foyer della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Dopo il commovente racconto dei terribili fatti della giornata dell’attentato di Brescia, egli ha portato l’attenzione del suo racconto sul suo modo di contestualizzare e di leggere la realtà, alla ricerca della verità storica. Tuttavia, la sintesi di 36 anni passati nel tentativo di fare chiarezza sulla strage è rappresentata soprattutto dai continui ritardi e dal peso di tanti depistaggi che mettono in netta evidenza i limiti della verità processuale (dimostrati anche dalla sentenza della Corte di Assise di Brescia proprio nei giorni dell’incontro). Nonostante la necessità dei processi, per poter rielaborare il passato tragico, è emerso nell’incontro il bisogno prioritario di trovare una verità storica che vada al di là di quella processuale. La via indicata da Milani, nella chiusa del suo intervento, è quella del ritorno ai testi, ai documenti, conservati negli archivi e finora non accessibili agli studiosi perché ancora secretati. L’appello di Milani resta quello dell’apertura degli archivi per permettere di studiare le carte.

Infatti, solo dopo il chiarimento sulla verità storica, è possibile integrare la dimensione collettiva della memoria con ricordi che sono necessariamente individuali e personali. Un esempio di combinazione riuscita fra il ricordo personale e il contesto più ampio della memoria, come elementi che si rafforzano in modo reciproco, sono le “Stolpersteine”: si tratta di bolognini di ottone inseriti sui marciapiedi con nomi, data e dati delle persone deportate nei campi di concentramento che si incontrano in varie città della Germania. Il grande pregio di questa azione di un artista, sostenuto da tanti piccoli finanziatori, è la sua capillarità (attualmente si contano più di 22.000 “pietre d’inciampo”) e il fatto che essa restituisce un volto e una personalità alle vittime altrimenti degradate a meri numeri.

Infatti, la ricostruzione del quadro completo deve includere, oltre alla conoscenza degli attori, anche quella delle vittime. Proprio la totale assenza di coscienza riguardo a loro caratterizzava il terrorismo degli anni ’70 sia in Italia che in Germania: “nessuna parola sulle vittime” era una delle massime della RAF (Rote Armee Fraktion), perché il terrorista può raggiungere il suo obiettivo solo indirettamente, non perseguendo una strategia militare, ma attraverso vittime civili e colpendo le istituzioni, creando terrore e insicurezza. Nonostante numerosi elementi comuni o simili, ci sono anche forti differenze fra il terrorismo italiano e quello tedesco: la prima è data dal fatto che il terrorismo in Germania era prevalentemente un terrorismo di sinistra; l’altra, e non di poco peso, è che, rispetto alle centinaia di vittime in Italia, il numero delle vittime in Germania è stato di molto inferiore (34 della RAF), e soprattutto non c’è stata nessuna strage. Del resto, diverso era anche il numero dei simpatizzanti, di molto inferiore da quanto si è verificato invece in Italia. Ultima differenza, altrettanto poco marginale, è data dalla mancanza del sospetto della copertura di alcune azioni da parte dei servizi segreti.

Come in Italia, tuttavia, il ruolo delle vittime non era molto presente nei dibattiti sul periodo del terrorismo, e, come in Italia, si tendono a dimenticare le vittime “collaterali” (come la scorta e tutte quelle persone che sono morte negli attacchi non essendo però gli obiettivi dell’azione terroristica).
In Germania, la fase più recente del processo di memoria è stata aperta dal dibattito sulla grazia per alcuni terroristi, ponendo al centro anche il ruolo delle vittime e suscitando una forte carica emotiva. Mentre alcuni sottolineavano che la grazia non è una revoca della sentenza, ma un atto umanitario dello Stato, altri insistevano sul pentimento come requisito minimo per ottenerla (proprio su questo punto era rimasto ambiguo Christian Klar, la cui richiesta di grazia venne respinta nel 2007). Tanti vedevano la grazia come un privilegio simboleggiato dal termine “ex-terrorista”, al quale tuttavia non può corrispondere quello di “ex-vittima”, né viene tale termine usato per altri reati.

Nel 1975 Herbert Marcuse disse, in reazione all’attentato della RAF all’ambasciata tedesca di Stoccolma: “Dal punto di vista soggettivo, i terroristi consideravano e considerano politiche le loro azioni. Oggettivamente non è così. Se azioni politiche comportano volutamente il sacrificio di innocenti è raggiunto il punto in cui un’azione politica, politica dal punto di vista soggettivo, si trasforma in un crimine”.