H-FACTOR

LE PROFESSIONI DEGLI UMANISTI

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Alla Facoltà di Lettere 70 professionisti incontrano studenti e giovani laureati
di Vittorio Carrara

Humani nil a me alienum puto (Terenzio)
Diventa ciò che sei (Fr. Nietzsche, rileggendo Pindaro)

A dispetto del nome simpatico e alla moda, “H-factor” è stata una manifestazione serissima. Grazie al supporto e alla creatività della Divisione Career Service dell’ateneo, la Facoltà di Lettere e Filosofia ha dedicato una giornata intera (la prima de1 mese di dicembre 2010) a cose con le quali ha scarsa familiarità. Ha invitato a convegno 70 professionisti attivi in tutti i gli ambiti lavorativi di un qualche interesse per un laureato in scienze umane, nell’editoria e nel giornalismo, nel campo della gestione di beni ed enti culturali, nella comunicazione multimediale (web management, web marketing e design), nella consulenza alle imprese, nella gestione delle risorse umane, nella comunicazione e promozione aziendale. Mancava solo la scuola, lo sbocco fondamentale e tradizionale, che non ha certo bisogno di farsi conoscere. L’idea era quella di mostrare che per gli umanisti la gamma delle offerte di lavoro qualificato e gratificante può risultare imprevedibilmente ricca. Si dirà che non c’è nulla di nuovo: che i laureati in filosofia finiscano anche nelle aziende è cosa risaputa. Questa volta, però, il valore aggiunto l’hanno dato le testimonianze di prima mano, presentate da persone che parlano volentieri del proprio lavoro perché lo fanno con passione. Si è notato, anzi, che molti dei relatori erano persino “troppo” titolati, “troppo” bravi e di successo, insomma modelli inarrivabili. Ma i modelli erano 70, tutti diversi, tutti con un curriculum di vita e di studi non specificamente tecnico scientifico, e anzi spesso con un nucleo umanistico preponderante.

“Ma è poi così importante fare un lavoro coerente con ciò che si è studiato?”, si chiede Rosanna Santonocito (giornalista de “Il Sole”, si veda il suo blog jobtalk), mettendo in dubbio che la coerenza del percorso culturale e professionale di una vita si commisuri solo all'oggetto degli studi universitari. Il laureato in facoltà umanistiche ha, forse, qualche possibilità in più per sciogliere questo nodo, per liberarsi di un peso che talvolta è solo un fardello di formule.
L'ha detto bene Luca Vignaga (responsabile risorse umane alla Marzotto), nella breve rassegna del suo passato studentesco: dopo la laurea in Giurisprudenza si è innamorato dell'idea di valorizzare il lavoro, si è spostato dai codici alle persone. Anche la curiosità, alimento vitale di ogni professione, per l’umanista in azienda ha a che vedere con la deroga da una presunta fedeltà verso un oggetto. Non è tanto il prodotto singolo che gli interessa, ma il dinamismo delle relazioni tra persone, tra prodotti, tra persone e prodotti.

Questa potrebbe essere la chiave di lettura del percorso di Gaia Manfredi (Orange network, studi in filosofia), che fa la consulente per le aziende, vendendo progetti di ristrutturazione, a prescindere dal genere di prodotti che dalle aziende escono. Il prodotto fa la differenza, ma il lavoro di analisi del sistema produttivo si ispira sempre allo stesso metodo. Lo specifico approccio al metodo è il carisma dell'analista professionista. Sembra un paradosso, ma chi devia dalla linea ossessiva dell'interesse per uno e un solo oggetto, finisce per interessarsi a qualsiasi oggetto.
La plasticità, per certe professioni, non è solo un punto di forza, è l'essenziale. “Vogliamo uno che sa quello che vuole, ma non ci interessa che sappia già come arrivarci”, ha detto Gianluca Sanna (studi in filosofia, formatore della Berner): il selezionatore per le aziende si preoccupa poco della competenza del candidato, mentre bada perlopiù all'energia, alla voglia di fare, all'entusiasmo e alla curiosità per il nuovo. Potrebbe sembrare un elogio dell'ignoranza, eppure non è raro il caso di apprezzamenti più che lusinghieri per la composta disciplina dell'erudizione disinteressata e che non c'entra nulla.
Raffaella Calandra (laureata in greco antico, giornalista a “Radio 24”, si veda il suo blog Storiacce) ha confessato, con un sorriso, che l'ottativo le è servito per farsi assumere dalla più importante testata economica italiana e per trovarsi a suo agio in tutte le questioni di cronaca e non solo tra le macerie di Pompei, su cui di recente ha fatto un'inchiesta. La vicenda pare quasi un appello alla coltivazione amorevole, o al ripristino, della seria tradizione di studi propri delle facoltà umanistiche.

C'è un rischio di immagine in questo genere di comunicazioni fuori contesto: che l'entusiasmo occulti il senso concreto delle difficoltà e delle inevitabili frustrazioni. Eppure i 70 professionisti avevano voglia, si vedeva, di aiutare i giovani, non di illuderli. Il lavoro costa sudore, solo il lavoro dà profitto e senza il profitto non sussistono né le imprese né il lavoro, né le occasioni per parlarne.
Katja Gallinella (Costa crociere) ha fatto capire che assumerebbe un laureato facendolo iniziare come mozzo. Monica Basile (marketing manager dell'Associazione albergatori di Trento) ha invitato calorosamente a procurarsi lunghe ed estenuanti esperienze di lavoro all'estero, salva poi la possibilità di rientrare a casa, con un patrimonio di conoscenze completamente rinnovato. Bruno Degasperi (33 anni, laurea in filosofia, responsabile del personale Sait) ha parlato di vera e propria sofferenza, durante il lungo percorso per farsi riconoscere nel suo specifico ruolo di responsabilità.

L'inesperienza non giustifica la passività, nel mondo del lavoro che dà soddisfazione le idee vaghe sono perdenti. Anche per arrivare alla semplice intuizione di ciò che si vuole occorre studiare: ecco perché lo H-factor, da solo, non basta, nemmeno per cercare lavoro. Tutti hanno vivamente consigliato la frequenza a corsi e la pratica di esperienze formative specifiche post-lauream, per sapere almeno di cosa si parla, quando si parla di bilanci, linee di produzione, sviluppo di nuovi prodotti, marketing, relazioni sindacali.
Al fondo di tutto, comunque, c'è lo H-factor, c'è la passione per la realtà delle cose e degli uomini e la certezza che il destino di ciascuno "non smetterà mai di chiedere di essere portato alla luce", come ha detto Piera Giacconi (arte-terapeuta). Il proprio destino non si può risolvere interamente nel lavoro e “diventare ciò che si è” non è diventare ciò che si fa. Tra le varie illusioni, però, quella del lavoro onesto e gratificante sembra ancora la più utile.