INTEGRARE I SISTEMI UNIVERSITARI EUROPEI

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Passa da Trento la campagna informativa sul Processo di Bologna
di Francesco Planchenstainer e Marco Tubino

Oltre dieci anni sono passati da quando i ministri dell’istruzione di sedici diversi paesi europei sottoscrissero nel capoluogo emiliano la Dichiarazione di Bologna che diede avvio all’omonimo Processo. Dieci anni in cui è stato realizzato lo spazio europeo dell’educazione superiore, la cui evoluzione è stata sostenuta dal succedersi delle dichiarazioni ministeriali che via via ne hanno fissato gli obiettivi e hanno posto sempre nuove mete all’integrazione dei sistemi universitari europei.
Questo il tema del seminario “Il processo di Bologna: fatti e misfatti” promosso il 7 e 8 aprile scorsi presso la Facoltà di Sociologia dal gruppo degli Esperti del Processo di Bologna e dal Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (CNSU), con la collaborazione dell’ateneo.

Il convegno, rivolto principalmente alle rappresentanze studentesche italiane e ai delegati di ateneo al Processo, è stata l’occasione per chiarire cosa realmente si richieda al sistema universitario della penisola per stare al passo con gli altri paesi europei e quanto invece sia frutto di fraintendimento e di una certa vulgata alimentata erroneamente anche dalla stampa. Ancor oggi, infatti, per i più il Processo di Bologna si riduce al modello del “3+2” (in verità il sistema sarebbe quello dei tre cicli) ed evoca la riforme degli ordinamenti didattici, sebbene in realtà i traguardi prefissati siano stati ben più ambiziosi e si siano tradotti in un complesso di misure che spesso hanno concorso a migliorare la vita delle università europee.
La due giorni trentina è stata quindi un’occasione per fugare interpretazioni riduttive e intavolare un dibattito a tutto campo in materia di didattica, valutazione e dimensione sociale degli studi in un’ottica europea.

La professoressa Maria Sticchi Damiani, coordinatrice del Gruppo degli Esperti, ha tenuto la prolusione alla prima giornata di lavori, riprendendo tutte le tappe del Processo di Bologna e ponendo in luce gli ambiziosi impegni sottoscritti anche dal nostro paese (e spesso non rispettati), tra cui la valutazione e l’accreditamento dei corsi, l’istituzione di un sistema basato su tre livelli formativi e l’adozione di procedure consolidate per il riconoscimento delle qualifiche.
Di seguito il professor Andrea Stella, coordinatore della Commissione didattica del Consiglio Universitario Nazionale, ha illustrato i punti chiave della seconda riforma della didattica, avvenuta in virtù del DM 270/04: l’architettura degli ordinamenti, le possibilità offerte dai piani di studio individuali, la novità rappresentata dai corsi interclasse e dai programmi educativi congiunti. In particolare il professore padovano ha richiamato l’importanza dell’ordinamento quale spazio per la libera progettazione dell’offerta didattica da parte delle facoltà.

Nella seconda sessione dei lavori è intervenuto il dottor Matteo Turri, ricercatore presso l’Università di Milano, che ha chiarito il concetto di valutazione nella doppia dimensione delle politiche interne ed esterne per l’assicurazione della qualità negli atenei. Nella relazione del dottor Turri è stato sottolineato come il Processo di Bologna non abbia mai imposto un unico termine di riferimento per la valutazione, bensì sono stati sviluppati solamente alcuni principi all’interno della rete europea degli organi di valutazione (ENQA).
La dottoressa Carla Salvaterra, prorettrice all’internazionalizzazione dell’Università di Bologna, ha offerto alcuni spunti da tradurre in azioni concrete al fine di favorire la mobilità studentesca per raggiungere il traguardo fissato a Lovanio del 20% dei laureati con esperienze all’estero: il coinvolgimento degli enti locali e del mondo produttivo, l’integrazione della mobilità all’interno del’organizzazione dei corsi di studio, la diffusione delle conoscenze linguistiche anche mediante i corsi impartiti in lingue diverse.
Il professor Roberto Moscati ha chiuso la prima giornata di lavori analizzando come il Processo di Bologna sia stato interpretato dalla stampa e quali siano le strategie comunicative migliori per veicolare la vera portata dell’iniziativa europea.

Nella mattinata successiva il convegno è proseguito in sessioni seminariali parallele nelle quali sono stati approfonditi i principali temi del Processo: la mobilità, la valutazione e la dimensione sociale.
L’esito dei lavori di approfondimento è stato quindi riportato in assemblea e poi discusso dal punto di vista della componente docente e di quella studentesca all’interno della tavola rotonda, moderata dal direttore del mensile “Campus”, Giampaolo Cerri, che ci ha visto come protagonisti.
Per la parte accademica sono state richiamate le motivazioni che hanno portato alla revisione degli ordinamenti didattici, secondo quanto previsto dal DM 270/04, legate principalmente alla necessità di porre rimedio ad alcune criticità emerse nella prima applicazione del sistema a due cicli. La “seconda” riforma è stata anche l’occasione per fare emergere alcuni elementi distintivi del Processo, tra questi una più estesa definizione degli obiettivi di apprendimento e degli strumenti proposti per conseguire tali obiettivi, una maggiore flessibilità dei percorsi formativi, una più chiara definizione (e più omogenea su base nazionale) dei requisiti di accesso, maggiori opportunità di autovalutazione e di orientamento e, infine, una più stretta integrazione delle proposte di mobilità internazionale.

Per la parte studentesca è stato ricordato come il Processo di Bologna non abbia incontrato la fiera opposizione che si è avuta in altri stati europei, sebbene la maggioranza degli immatricolati italiani sembri ancora poco consapevole di essere a pieno titolo all’interno dello spazio europeo dell’educazione superiore.
Come affermato dal Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, molto può essere realizzato dagli atenei per recepire ulteriormente le indicazioni del Processo, riprendendo il protagonismo che si era avuto nella prima ora con la firma da parte dei rettori europei della Magna Charta Universitatum. Tra le priorità suggerite dagli studenti vi sono il recupero dello scopo originario del credito formativo universitario, inteso come misura per la progettazione di corsi incentrati sullo studente e non sulla struttura didattica (per la quale il credito è divenuto una misura standard per il calcolo della didattica frontale), la diffusione del Diploma supplement, oggi ostacolata dall’obbligo di versare l’imposta di bollo, e la libertà nella costruzione dei curricula per favorire la flessibilità e la personalizzazione delle carriere formative.

Molto positivi sono stati i riscontri ricevuti da chi ha partecipato al convegno, nutrita la partecipazione del personale e degli studenti dell’ateneo, ottima la regia dell’evento a cura della Divisione Cooperazione e mobilità internazionale e della Divisione Comunicazione ed Eventi, che hanno offerto un supporto impeccabile agli organizzatori.