L’ITALIA E LA CRISI MONDIALE

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Un confronto con Salvatore Rossi della Banca d'Italia in occasione del ciclo di conferenze “La Facoltà di Economia incontra la città”
di Sandro Trento

Il 24 febbraio è stato ospite di una conferenza della Facoltà di Economia aperta alla cittadinanza Salvatore Rossi, direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d’Italia, autore del volume “Controtempo, l’Italia nella crisi mondiale”, (Laterza, Bari, 2009).

Il 2009 è stato uno dei peggiori anni del dopoguerra per il nostro Paese sotto il profilo economico. Il Pil italiano infatti è diminuito del 5 per cento e la produzione industriale è calata, rispetto a un anno prima, del 17,4 per cento. Secondo l’Istat, bisogna risalire al 1945 per trovare in Italia una diminuzione del Pil totale e procapite superiore a quella registrata nel 2009.

Nello scorso anno inoltre le esportazioni italiane sono diminuite di quasi il 21 per cento, il peggior risultato degli ultimi quaranta anni. E anche negli ultimi mesi, pur in un contesto di domanda mondiale più favorevole, i dati disponibili mostrano che le nostre esportazioni soffrono di una persistente debolezza.

Nel corso della conferenza, Salvatore Rossi ha sostenuto che la recessione mondiale sembra essersi arrestata e che si sta profilando una modesta ripresa, in larga parte grazie al sostegno delle politiche economiche espansive adottate dai principali paesi. Secondo le previsioni degli organismi internazionali tuttavia, la ripresa si presenterebbe ancora con ritmi contenuti. Rimane alta l'incertezza sulla durata della ripresa: vi è il rischio che, con il venir meno degli stimoli fiscali e monetari, e una volta esaurito il ciclo di ricostituzione delle scorte, la domanda privata possa tornare a ristagnare.

La situazione italiana tuttavia è aggravata dal fatto che le nostre difficoltà di crescita non sono limitate al 2009 ma risalgono indietro nel tempo. Dagli anni ‘90 infatti l’Italia sperimenta un rallentamento della crescita economica. Questo è segno del fatto – ha ricordato Salvatore Rossi – che le ragioni del nostro ristagno sono di natura strutturale e non sono spiegabili con fattori congiunturali. Un indicatore utile è il tasso medio di crescita della produttività del lavoro nel settore manifatturiero che durante il decennio 1990-2000 è stata solo del 2,3 per cento in Italia, mentre è stata pari al 4,2 per cento in Francia e al 4 per cento negli USA.

Vi sono stati negli anni ‘90 due grandi mutamenti di contesto: il primo riconducibile all’eliminazione delle residue barriere al commercio e all’integrazione finanziaria internazionale, la cosiddetta globalizzazione dei mercati che ha segnato l’entrata a pieno titolo sui mercati mondiali di nuove grandi potenze economiche (Cina, India, Brasile, Russia); il secondo processo strutturale è legato invece a una vera e propria “rivoluzione tecnologica” generata da un grappolo di innovazioni di prodotto e di processo incentrate sulla microelettronica e sulle tecnologie digitali (dai personal computer a Internet).

L’economia italiana non ha saputo cogliere le opportunità offerte da questi due cambiamenti strutturali; ne ha anzi subito le conseguenze negative. La specializzazione settoriale dei Paesi emergenti divenuti nuovi protagonisti sui mercati mondiali è stata ed è ancora oggi molto simile alla specializzazione della  nostra industria. I prodotti tipici del Made in Italy hanno finito per dover competere con i prodotti di imprese localizzate in paesi dell’Estremo Oriente o dell’Europa orientale, nei quali il costo del lavoro è assai più contenuto. Le nostre quote sull’export mondiale si sono pertanto ridotte in modo significativo e in misura superiore rispetto a quelle di altri paesi avanzati. Interi settori produttivi hanno subito un drammatico processo di selezione: migliaia di imprese italiane hanno cessato la loro attività non essendo capaci di competere nel nuovo contesto.

Le tecnologie digitali, d’altro lato, hanno modificato i modelli organizzativi delle imprese, spingendo verso soluzioni più orizzontali incentrate sul decentramento decisionale, sul coordinamento di unità relativamente autonome. Questa trasformazione organizzativa ha consentito grandi recuperi di efficienza in molti comparti produttivi nei paesi in cui le imprese sono state in grado di adottare le nuove tecnologie digitali. Per essere utilizzate in modo appropriato, le nuove tecnologie richiedono lavoratori molto più qualificati rispetto al passato. L’economia italiana presenta sotto questo profilo una debolezza dovuta proprio al livello medio di istruzione più basso della popolazione, in particolare quella in età lavorativa, rispetto ad altri paesi avanzati. La ridotta dimensione delle imprese italiane sembra essere un ulteriore fattore di ritardo nell’adozione delle tecnologie digitali, più facilmente impiegabili in organizzazioni di grandi dimensioni.

In aggiunta a questi due processi di trasformazione del contesto economico, sul finire degli anni ‘90 si è avuto in Europa anche un mutamento istituzionale con l’avvio della moneta unica. L’unificazione monetaria ha eliminato la possibilità di politiche di svalutazione del cambio a livello di singola nazione. In Italia, nel ventennio 1975-1995, si era invece fatto ricorso frequente a svalutazioni del cambio della Lira per consentire recuperi di competitività alle imprese e favorire in tal modo una ripresa delle esportazioni.

A fronte del nuovo ambiente economico e sociale sarebbe stata necessaria una risposta coraggiosa da parte della politica economica in Italia per facilitare un riaggiustamento del sistema produttivo e del sistema sociale necessario per essere di nuovo competitivi sui mercati internazionali.

Salvatore Rossi, nel suo volume, ha sostenuto che l’economia italiana da molti anni si trova in “controtempo”, cioè è paragonabile a un orchestrale che sistematicamente ritarda le battute e quindi stona nel concerto. La speranza è che la crisi in corso possa costituire uno stimolo a realizzare quelle trasformazioni necessarie per tornare a crescere.