RICERCHE ARCHEOLOGICHE NELLE ALPI TRENTINE

in
Un progetto che coinvolge docenti e studenti del corso di laurea in Beni culturali
di Enrico Cavada
Approfondimento: 

Da cinque anni, nel Trentino sudoccidentale, è in corso una ricerca che, dopo averlo identificato, recupera, documenta e interpreta un sistema fortificato antico, non ricordato da alcuna fonte d’archivio. In prospettiva più ampia, questa attività rientra in uno dei principali interessi della ricerca archeologica medievistica italiana la quale, nello studio degli insediamenti fortificati d’altura, ha uno dei propri principali indirizzi riconoscendo in essi il luogo di una società che, con accenti e forme diverse, ridisegna se stessa e il suo complesso sistema di valori.

L’iniziativa trentina è anche un laboratorio rivolto alla formazione che, dal suo avvio ad oggi, ha coinvolto un centinaio di laureandi, laureati e specializzandi universitari provenienti dall’ateneo di Trento, per circa due terzi, e da diverse altre università, italiane e straniere. Per alcuni l’esperienza è proseguita anche con specifici approfondimenti su dati e materiali rinvenuti, affrontati come argomento di tesi sviluppate con il contributo interdisciplinare di molti colleghi. Infine, ad allargare la dimensione internazionale della ricerca, contribuisce la Kommission zur vergleichenden Archäologie römischer Alpen- und Donauländer della Bayerischen Akademie der Wissenschaften presente nel progetto con propri ricercatori e universitari di vari istituiti tedeschi.
Il progetto è sostenuto, sotto il profilo finanziario e materiale, da diversi enti: la Soprintendenza provinciale competente in materia di beni archeologici, il Comune di Lomaso (oggi di Comano Terme) proprietario dell’area e delle infrastrutture in cui l’attività ha luogo, la Bayerische Akademie der Wissenschaften. Non meno importanti sono le possibilità date dagli accordi e dalle convenzioni per lo svolgimento di tirocini e stage di orientamento che varie università hanno sottoscritto con la Provincia autonoma di Trento.

Punto centrale del progetto è il monte di san Martino: un impervio dosso del sistema che separa la regione del lago di Garda dalle vallate più interne. Lo si coglie sul fianco orientale del Lomaso a sud-est del paese di Lundo, isolato da ripidi versanti di roccia e con alle spalle il comodo valico di San Giovanni. Dalla sommità, a circa 1000 m. di quota, lo sguardo spazia ininterrotto su un habitat piuttosto conservativo delle forme agrocolturali passate specie se rapportate alle esigenze della società attuale.
Di fondamentale importanza, nell’indirizzare la ricerca, è stato uno screening preliminare condotto in estensione sul paesaggio condotto con osservazione dall’alto tramite remote sensing (dall’areofotografia al LiDAR), ricognizioni di superficie, alcuni mirati interventi di prospezione geofisica (elettrica, radar, magnetometro) e dei shovel tests in corrispondenza di particolari situazioni rilevate.

A distanza di qualche anno i dati raggiunti risultano più che soddisfacenti e offrono un originale contributo storico di valore più generale in grado di qualificare il progetto stesso come uno tra i più interessanti e promettenti ambiti di ricerca in campo archeologico intrapresi negli ultimi anni nel territorio trentino.
All’apertura degli scavi, sono risultati evidenti i tratti caratterizzanti di quello che è stato un nucleo abitato fortificato, ampio e sconosciuto, per il quale rimangono tuttavia ancora molti interrogativi in termini di origine, di sviluppo e di contenuti. Bisognerà quindi procedere ad ulteriori scavi per recuperare ulteriori indizi, i soli a permettere più ampie valutazioni. Si tratta ora di capire i committenti, le loro ragioni e la loro capacità di indirizzare a un determinato scopo risorse e mezzi, che nel caso in esame sono stati molto ampi e coinvolgenti la produzione dei materiali necessari, il trasporto nel cantiere, l’invio di maestranze in grado di usarli, la manutenzione nei vari periodi.

Chi oggi sale alla sommità del monte di san Martino trova piste e spazi antichi riaperti in quello che è un primo, embrionale percorso di visita. Le evidenze riportate in luce appartengono innanzi tutto al sistema delle difese la cui realizzazione risale al V-VI secolo, periodo in cui le Alpi, al tramonto dell’impero romano, diventano frontiera, presidiata e da presidiare. Diversi scrittori antichi lo ricordano così come riportando della realizzazione nelle valli alpine di chiuse, di sbarramenti, di presidi, di castelli. Opere a cui contribuisce l’intera popolazione con risorse frutto di una fiscalità di natura straordinaria ed ereditate da chi è venuto dopo: barbari guidati da élites che si contendono il vertice di regni e ducati.

Quanto rinvenuto è testimone di un’impresa forte e soprattutto coordinata che non ha riferimento sul piano tecnico e costruttivo nei saperi di chi nell’Alto Medioevo vive nel territorio limitrofo. Si tratta di un circuito in spessa muratura, ottimamente realizzata da abili maestranze con pietrame e malta su un tracciato lungo quasi un chilometro che delimita una superficie utile interna di circa 10.000 mq., con anche intercalati contrafforti e torri d’avvistamento.
Dentro questo sistema sono presenti altre opere: edifici costruiti con pietra, malta, legno; spazi aperti di cantiere, vie di accesso e di movimento, il sedime di apprestamenti di natura più elementare come possono essere state tende e baracche.

In tutto questo si distingue un’aula di culto costruita sul massimo alto topografico e più tardi fiancheggiata da vari ambienti. Di semplice planimetria con abside distinta e sporgente, si data alla prima metà del VI secolo e le sue ragioni sono risultate totalmente di natura funeraria e memoriale. Lo provano sei sepolture deposte a seguire una centrale, che si ipotizza possa essere quella del fondatore. Si tratta di individui antropologicamente selezionati, che connotano il contesto di tipo molto riservato, ideologico o “politico” prima ancora che religioso. Questo, secondo la mentalità del periodo che, nelle iniziative a favore dei luoghi di culto, vede espressi prima di tutto il rango e la posizione di chi ne è l’autore. Si tratta inoltre di luoghi di protezione larga, sostenuta dalla forza della reliquie dei Santi venerati con riferimento a quello che George Duby ha definito “lo spazio dell’uomo raro”, dominato dalla natura e popolato più da animali che da persone. Motivo per cui, verso il XII/XIII secolo la primitiva costruzione assume le caratteristiche di un oratorio di valico di lunga durata, un luogo di riferimento per chi percorre questi monti o su questi monti stagionalmente trova mezzi di sostentamento: viandanti, pellegrini, mercanti, ma anche contadini che, dagli agglomerati in basso, salgono all’edificio di san Martino con liturgie di natura collettiva e comunitaria. Questo fino alla metà del XX secolo, quando la costruzione, non più mantenuta, crolla e scompare quasi totalmente dalla vista.

Questi risultati preliminari sono già stati motivo di comunicazione e di illustrazione alla stampa e al pubblico e non esauriscono le aspettative né le ragioni dell’interesse ad indagare ulteriormente il sito di monte san Martino con la consapevolezza di come l’indagine sul terreno rimanga la prima tappa di un percorso il quale, per tradurre manufatti in dati storici, va approfondito e allargato fino a considerare l’insieme delle cose ritrovate e l’intero territorio da cui il sito archeologico non è scindibile.