GIUSEPPE DE RITA AL FESTIVAL DELL’ECONOMIA

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Il sociologo e fondatore del Censis ha parlato dei valori fondanti di una comunità
di Elisabetta Nones

Il titolo ufficiale della conferenza di Giuseppe De Rita al Festival dell’Economia di Trento è “Terra e comunità”, ma il fondatore del Censis, sociologo romano con formazione giuridica, ci racconta di terra e identità. Il suo apporto al Festival, che proprio sul tema dell’identità e della crisi globale ha incentrato la sua kermesse edizione 2009, è originale, fuori dal coro. In un contesto di studi, disquisizioni, accesi dibattiti sulla crisi economica che ha colpito il pianeta, dibattiti che nella maggior parte dei casi hanno attribuito alla globalizzazione e alle intricate relazioni internazionali le ragioni principali del crollo dei mercati finanziari, De Rita si concentra su altro, ci fa riflettere su aspetti più profondi, che vanno dritto alla radice dei valori fondanti di una comunità.

Giuseppe De Rita porta su di sé fin dai primi anni Settanta l’etichetta di difensore dello strapaese e delle dimensioni piccole e immediate dell’Italia, è un uomo che vive e studia “terra-terra” e, a detta di alcuni, non ha una visione della società dall’alto, non ha – come gli disse un giorno scherzando Giuliano Amato - una “cultura della torre Eiffel”, proprio lui che sulla torre Eiffel non salirebbe mai per via delle vertigini. Quest’etichetta, dice, un po’ gli pesa, vorrebbe essere libero dalle rigidità di un’immagine che gli è stata attribuita negli anni. D’altra parte, quello in cui credeva fin dagli anni Settanta è tuttora il suo baluardo, il messaggio che si sente di poter trasmettere anche quaranta anni dopo.
Partiamo da un pezzo scritto da De Rita recentemente su un quotidiano nazionale e che riassume bene il suo pensiero: alla crisi “hanno resistito solo i sistemi “terra-terra”, con le loro componenti a lungo condannate come provinciali, pre-moderne, irrazionali. [...].Oggi abbiamo governi municipali e provinciali che sono molto attivi nel mettere a punto interventi anticiclici, abbiamo Regioni che si danno carico di fronteggiare i pericoli di disoccupazione, abbiamo grandi e medie città che riscoprono un sano egoismo urbano e cominciano a pensare in grande come mai nel recente passato”.

De Rita è quindi il difensore del “capitalismo territoriale”, di questa idea che in Italia il capitalismo è il territorio, l’immensa ricchezza delle regioni e delle province che stanno dedicando grandi energie per innovarsi, prendersi cura del paesaggio e offrire ai propri abitanti e visitatori un ambiente sano in cui vivere e muoversi. È in questo tessuto territoriale che si sviluppano importanti, anche se a volte sommerse, attività produttive legate al made in Italy di altissima qualità, è qui che si declinano le filiere legate alle grandi imprese italiane, tra cui quella delle navi da crociera, per riportare un esempio efficace di De Rita, dove accessori e pezzi di arredamento vengono realizzati in piccole imprese familiari del Veneto, contributo allo sfarzo dell’industria italiana. Ed è qui che si sviluppa il rapporto tra terra e identità da cui siamo partiti. De Rita è pienamente convinto che solo recuperando il rapporto ancestrale dell’uomo con la terra si possono recuperare valori importanti per la vita in comunità e quindi rafforzare la propria identità, che si esplica solo nella relazione con gli altri e non nella chiusura della soggettività. L’identità viene dalla relazione. Il soggetto non si ritrova in un’identità già data, preconfezionata, ma mettendosi in relazione con altri, ritornando ad una relazione originaria con se stessi, con la propria famiglia, con il proprio territorio. Una relazione quindi “prossima” e non di lungo raggio. Come dice Heidegger: “L’identità non è nel soggetto, ma nella relazione”.

Nel contesto della crisi economica mondiale l’italiano medio non ha avuto una relazione diretta con le origini della crisi stessa: la relazione è sempre stata virtuale, di seconda mano, mediata cioè dai mezzi di comunicazione e quindi filtrata dalle loro interpretazioni. È ora, sostiene De Rita, che ripensiamo con attenzione alla nostra dimensione di identità e relazione con gli altri: un grosso aiuto in questo ci può venire dal recuperare il rapporto con la terra che ha sempre significato per l’uomo dedizione, fatica, tenacia, prudenza, rispetto, fiducia, sapienza. Questi valori del vecchio agricoltore ci dovrebbero accompagnare nelle attività quotidiane, guidare le nostre scelte, anche economiche, ma soprattutto di relazione nei confronti dell’altro. Come l’agricoltore scava la terra, la studia e la rispetta per ottenere i migliori risultati per il proprio sostentamento, così anche l’uomo di tutti i giorni dovrebbe andare a fondo delle cose, analizzarle e capirne il contesto e i suoi limiti prima di intraprendere qualsiasi iniziativa. Un concetto, quello del ritorno al rapporto con la terra, che potrebbe sembrare retrogrado, e che invece contiene in nuce una grande forza innovativa sia dal punto di vista della tecnologia e della ricerca scientifica (che hanno raggiunto livelli altissimi nel settore agricolo) che dal punto di vista del recupero dei valori su cui una sana società dovrebbe fondarsi.

Un ultimo accenno alla crisi, a cui abbiamo fatto riferimento nella citazione dall’articolo di De Rita poco sopra. Nelle province e nelle regioni si è assistito ad un fenomeno interessante di micro-welfare in cui i governi provinciali, municipali, le comunità locali e via via fino alle famiglie hanno dato il loro contributo con interventi di sostegno all’occupazione, di solidarietà, di cooperazione. Qui sta - secondo De Rita - il bello dell’Italia: nella forza che le piccole realtà hanno saputo trovare per fronteggiare una crisi economica di carattere mondiale sfruttando con sapienza e tenacia, appunto, le grandi ricchezze dei piccoli territori, non venendo in questo modo schiacciate dal qualunquismo della globalizzazione ma esaltando la propria, forte, identità.